Fate da soli

L’autogestione come pratica educativa


Nel video potete osservare alcuni momenti di una lezione interamente autogestita da bambini di 4 anni.

- Il lavoro con la fascia d’età pre-scolare (3 > 6 anni) offre notevoli risorse per la promozione e lo sviluppo di una serie di competenze trasversali, come la flessibilità, la coordinazione, l’organizzazione dello spazio, l’autonomia; queste competenze vanno a costruire come una sorta di “scaffali”, all’interno dei quali saranno inseriti, dall’età scolastica in poi, i contenuti dei vari ambiti. -

Continua a leggere il post originale della Dott. E. De Bellis

6 commenti:

  1. Ciao, Ugo, ti scrivo perché anch'io sono un'insegnante di musica per bambini da 0 a 6 anni, e mi capita spesso di leggere il tuo blog confrontandomi con le tue attività.
    Premetto che trovo molto interessante l'idea del lavoro autogestito nei bambini, e che ho letto l'articolo della dottoressa De Bellis con molta curiosità. Guardando questo video, però, mi sono chiesta diverse cose: innanzitutto ho notato che l'insegnante ad un certo punto ferma un bimbo che sta suonando; non riesco ad immaginare, infatti, un'intera lezione completamente autogestita da bambini di 4 anni: a quell'età trovo sia necessario l'intervento di un adulto che funga da guida durante le attività.
    Io non utilizzo strumenti musicali durante le mie lezioni, perché ho sempre notato che in una classe di bimbi anche grandi (5-6 anni) non ci sia, nella maggioranza dei casi, la coordinazione necessaria per imparare a suonare uno strumento. Quello che si evince da questo video, infatti, è che c'è un bambino molto dotato dal punto di vista del ritmo e della musicalità vera e propria (riesce a creare frasi musicali di senso compiuto, traendone anche grande soddisfazione), ma gli altri bimbi (come è ovvio che sia alla loro età!) giocano con gli strumenti, sperimentandoli, toccandoli, ma senza avere la capacità di stare in relazione con i suoni degli altri né di creare frasi musicali compiute. Nell'articolo si parla di improvvisazione e di ascolto reciproco, ma questo avviene solamente dopo, con la canalizzazione dell'insegnante sulle attività, e non nel momento in cui tutti i bimbi suonano.
    Quindi mi domando: forse gli altri bimbi vivono un senso di frustrazione ascoltando il loro compagno creare musica più complessa e strutturata? Oppure non sono ancora in grado di notarlo, perché sono troppo presi dal desiderio di suonare il proprio strumento?
    E poi: qual è il senso educativo strettamente musicale di questa attività, visto che in ogni caso non si gestiscono completamente da soli e che si tratta, per il 75% dei bimbi del gruppo, di un gioco euristico sullo strumento?

    Ti ringrazio per l'attenzione, e complimenti per il blog.

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    1. Ciao Veronica, eccomi... grazie per il tuo commento così interessante e preciso da cui traspare una grande passione educativa! Sono contento che il bel post della dottoressa De Bellis abbia stimolato la tua curiosità :)
      Per quanto riguarda il video bisogna che ti descriva quello che la dottoressa De Bellis ed io (che riprendevo) abbiamo fatto durante la lezione da cui è estratto il video. Come si dice nel post, abbiamo fatto una richiesta ai bimbi: "Ora prima di iniziare a suonare guardatevi negli occhi e cominciate tutti insieme... suonate quello che volete come volete e poi guardandovi ancora finite tutti insieme... quando vi sembra che uno sta finendo allora fatelo anche voi". Il focus di questa richiesta, come certamente avrai capito, è sull'attenzione e sulla sintonizzazione tra i bimbi in punti precisi dell'azione: l'inizio e la fine. Il concetto di autogestione riguarda il fatto che i bimbi hanno autogestito questa richiesta. Hanno iniziato controllando i compagni che iniziavano insieme, hanno suonato (sperimentato, esplorato ecc.) per il tempo che loro volevano e hanno finito sempre controllando che i loro compagni stessero facendo lo stesso. Ognuno, chiaramente, ha suonato o fatto quello che voleva sullo strumento sapendo però che avrebbe dovuto finire insieme con i compagni. Il video è montato in questo modo: la prima e l'ultima parte si riferiscono a questa prima attività che ho appena descritto; la parte centrale invece si riferisce alla richiesta che abbiamo fatto subito dopo. Cioè, abbiamo chiesto ai bambini di iniziare > suonare > finire da soli per poi far iniziare > suonare > finire il loro compagno accanto. Abbiamo spostato cioè l'attenzione sul fatto che il loro compagno accanto doveva iniziare quando finivano (uno per uno). Anche qui ognuno ha autogestito la richiesta suonando come e quanto voleva per passare poi l'azione all'altro bimbo. Qui c'è quello che dici tu... la "maestra" ferma il bambino semplicemente perché non era il suo turno ma quello della bambina con i pantaloni rosa (stavamo seguendo il giro antiorario). In più si sente dire quel "Dai, tocca a te" che ben fa capire quanto il bimbo che ha appena finito stia controllando che tutto si svolga come richiesto... in più manifesta anche uno spirito di collaborazione richiamando l'attenzione della compagna che deve iniziare. Come descritto nel post della dottoressa De Bellis non siamo mai intervenuti nello svolgimento delle richieste che i bambini hanno sviluppato autogestendosi. L'obiettivo quindi non è strettamente musicale ma fa parte di quelle "competenze trasversali" di cui parla la dottoressa nel post.
      Non penso che ci sia stato senso di frustrazione semplicemente perché non c'era nessun confronto. Certo, i bimbi sono presi dal desiderio di suonare il proprio strumento ma questo, come detto, è la parte di passaggio verso l'attenzione alla 'fine' e direi che la gestione di questo desiderio sia stata fantastica.
      Non c'è nel video ma dopo abbiamo chiesto di iniziare > suonare > finire a coppie con lo stesso principio: quando una coppia finisce inizia l'altra... avresti dovuto vedere gli sguardi di attenzione!!
      Grazie ancora e in bocca al lupo per l'inizio delle tue attività (come leggo sul tuo blog).
      Ciao :)

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    2. Grazie per la tua risposta, Ugo, mi fa davvero tanto piacere scambiare idee e pareri sull'educazione musicale.
      In effetti non avevo colto il fattore più importante del lavoro che stavate svolgendo: quello del "sentire la fine". E' un concetto che, talvolta, mette in difficoltà anche i musicisti professionisti: l'interplay si riconosce soprattutto da questo.
      Personalmente con i bambini cerco di lavorare su questo punto in modo un po' diverso: di solito creo dei giochi in cui ci sono due attività motorie diverse durante il canto e quando termina (quando c'è la canzone balliamo, quando finisce rimaniamo fermi - oppure quando c'è la canzone stiamo tutti fermi, e quando finisce correte a prendere il fazzoletto che ho in mano).
      Mi capita, invece, di fare questo lavoro con gli adulti: a volte chiedo al mio gruppo vocale di fare improvvisazioni libere, ed è sempre molto bello sentire le chiusure spontanee.

      Ti ringrazio ancora e spero di scambiare altre riflessioni sull'educazione musicale!
      E grazie anche per essere passato dal mio blog :)

      PS: conosci per caso una libreria a Roma dove posso acquistare un libro di canti di Beth Bolton?

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  2. Ciao Veronica e Ugo, entro a gamba tesa nella conversazione per lanciare un elemento di riflessione in più. L'obiettivo dell'attività non è strettamente musicale, quanto piuttosto trasversale alla crescita, e riguarda il passaggio da un processo musicale individuale a uno collettivo, basato sull'ascolto, sul riconoscimento reciproco come co-autore e sul senso di appartenenza a una comunità.
    Spesso, nel corso degli anni, mi sono accorta come un senso musicale più sviluppato rispetto agli altri bambini possa essere un ostacolo alla condivisione: i bambini "dotati" (anche se personalmente preferisco non usare quest'aggettivo) spesso sono quelli che fanno più fatica ad accettare le proposte degli altri, a percepirle, a passare dall'"Io" al "Noi".
    Da un punto di vista strettamente estetico, continuo a trovare stimolanti e toccanti le performances create dai bambini, ai quali chiediamo di suonare "una cosa bella": ma ci tengo a sottolineare che la pratica dell'autogestione non è fine a se' stessa, né tantomeno finalizzata a un'esplorazione delle competenze individuali, quanto piuttosto all'uso dell'ascolto come ponte per toccare l'Altro.

    Ultimamente abbiamo proposto un'attività simile in un gruppo di bambini più grandi, ma di formazione nuova, e non ha funzionato: segno, secondo me, dell'importanza di un percorso precedente finalizzato al "sentirsi gruppo".

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  3. Ho letto con curiosità i vostri post precedenti.
    Io sto frequentando il Corso Nazionale per diventare insegnante Aigam, ma lavoro già con bambini prescolari da anni.

    Credo la che la Dottoressa De Bellis abbia colto nel segno: in un gruppo che seguo, cinque bambini di quattro anni e uno di sei anni (cinque maschi e una femmina), quando suonano si autoregolano. Sono loro stessi che portano da casa gli strumenti e quando decidiamo di usarli, sono loro stessi che si dicono: "Non battere troppo forte sul tamburello, se no si rompe!", o cose simili. Insomma, il loro grado di attenzione è davvero alto! Ciò che ho inoltre osservato, è che non hanno bisogno di un adulto che dica loro COSA fare esattamente, ma di una guida informale che li aiuti a "capire il tempo che passa", ovvero una sorta di "guida temporale", che indica loro cosa c'è prima, all'inizio, cosa c'è in mezzo, cosa viene dopo, quando è dopo, quando c'è la fine. Insomma, più che dal punto di vista comportamentale, il gruppo che seguo io ha bisogno di avere dei riferimenti TEMPORALI. Questo li tranquilizza molto e loro poi si sanno orientare meglio nella "lezione".

    Dal punto di vista musicale, cerco di tenerli sempre in ciò che viene chiamata la "zona prossimale di sviluppo", in modo tale che loro non si annoino, ma siano sempre stimolati. Tuttavia occorre ogni tanto tornare alle cose semplici per non frustrarli.

    In quanto educatori, trovo importante fare attenzione a (parlo della mia esperienza personale): non prediligere nessuno; mettere la regola che chi vuole possa anche non fare, ma senza disturbare gli altri; accompagnarli nel capire i giochi e le attività proposte senza parlare troppo; instaurare dei riti di inizio, centro e fine dell'incontro.

    Consiglio, in ogni caso, la consultazione di un sito interessante dove ci sono molti spunti: www.musicheria.net

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  4. Ah, scusate, mi sono dimenticata un'altra cosa fondamentale: certe volte, le "canzoncine" si fanno perché sono piacevoli e le sanno fare, non perché siano particolarmente belle...Quindi, riprendo ciò che è stato scritto sopra: il fatto di non confrontarsi sarebbe come a dire al bambino, in ambito motorio, ad esempio, "Dai, facciamo una corsa da qui a lì". Non è che poi gli chiedi se si è divertito a correre... Lo guardi, sorridi, e via. ;)

    In musica succede un po' lo stesso: "Dai, facciamo questo gioco...". E a volte è anche bello che rimanga un gioco....quello che esce è un po' un segreto tra te e loro e non è detto che sia bello o che loro ne siano soddisfatti, ma intanto sperimentano, provano, si buttano! ;)

    E' uno dei lavori più gratificanti che esistano, secondo me, l'educatore musicale! :D

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Chi sono

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Da piccolo ogni padella che trovavo in cucina si trasformava all'istante in un tamburo, ogni coperchio in un piatto della batteria da suonare con i cucchiai. Da grande sono diventato un contrabbassista, 7 anni in Conservatorio a Roma e poi in giro per l'Italia a suonare con varie orchestre. Sempre da grande quando sono entrato all'Orff-Schulwerk ho preso i cucchiai lì per terra e girando e suonando ogni cosa rotonda sono entrato anche nella stanza di Musica in Culla. - Che cos'è quello? - mi domandai dopo aver visto un grande telo a spicchi colorati. Sono rimasto per scoprirlo. Oggi (da piccolo) mi dedico principalmente all'educazione musicale per l'infanzia e chiedo sempre a tutti i bimbi se nella loro cucina ci sono le padelle.